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Scopri di piùSpecie botaniche
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Livistona chinensis
La palma a ventaglio cinese è originaria del Giappone meridionale, Taiwan e altre isole circostanti. Viene sia pur raramente coltivata a scopo ornamentale nelle parti più calde d’Italia. Pianta robusta a lenta crescita, da giovane viene anche usata come pianta da interni. Nelle aree di origine, le foglie sono spesso utilizzate per ricavarne cappelli e ventagli, i fusti sono impiegati nelle costruzioni di abitazioni e, opportunamente scavati, sono utilizzati come tubi. Il genere è dedicato a Patrick Murray, barone di Livingston (1632-1671), fondatore dell'Orto Botanico di Edimburgo; il nome specifico si riferisce alla Cina, una delle aree di origine. Syn.: Latania borbonica hort.
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Artemisa vulgaris
L’assenzio selvatico è una specie a vasta distribuzione circumboreale-temperata presente in tutte le regioni d’Italia. È un po' meno termofila e più xerofila di A. verlotiorum e colonizza terreni mesici ricchi in composti azotati, in ambienti fortemente disturbati quali margini di strade, discariche, campi abbandonati etc., dal livello del mare alla fascia montana. Una singola pianta è in grado di produrre sino a 700.000 frutti. La pianta è a volte usata come digestivo, anche se è tossica quando consumata in grandi quantità: come le altre specie congeneri, contiene il tossico thujone. Il nome generico era già in uso presso i greci antichi ma è di etimologia incerta: potrebbe riferirsi ad alla dea Artemide (Diana) o alla regina Artemisia, moglie di Mausolo, re di Caria; il nome specifico deriva dal latino 'vúlgus' (volgo) e significa 'comune, diffuso, frequente'. Forma biologica: emicriptofita scaposa. Periodo di fioritura: luglio-ottobre.
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Aesculus hippocastanum
L'ippocastano è un albero ornamentale che può raggiungere i 30 metri, originario di un'area ristretta della Penisola Balcanica. Fu introdotto nel 1576 da Charles de L'Écluse (Clusius) nei giardini imperiali di Vienna e da qui, a distanza di tempo (sec. XVIII-XIX), venne distribuito attraverso i semi in tutto il territorio dell'impero austro-ungarico; per tale motivo risulta tradizionalmente impiegato soprattutto nell'Italia settentrionale. È coltivato in viali, parchi e giardini, a volte comparendo allo stato subspontaneo nei boschi termofili della fascia collinare. I semi, velenosi per effetto dei saponosidi che contengono, vengono talvolta consumati per errore perché scambiati per castagne o ritenuti commestibili come queste ultime. La pianta è usata a scopo farmaceutico (antiemorroidario), cosmetico e tintorio; i semi, schiacciati e pestati, erano impiegati per la produzione di sapone, specialmente in tempo di guerra. Le alberature sono oggi attaccate da un lepidottero (Cameraria ohridella) che causa il precoce appassimento delle foglie. Il nome generico era già in uso presso i romani (Virgilio), che però con esso designavano una quercia; il nome specifico deriva dal greco 'híppos' (cavallo) e 'kástanon' (castagna), per l'aspetto dei frutti a forma di grossi ricci a spine deboli e fragili contenenti grossi semi simili a castagne, utilizzati in Oriente come alimento per i cavalli. Forma biologica: fanerofita scaposa. Periodo di fioritura: aprile-maggio.
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Aquilegia vulgaris
L'aquilegia comune è una specie a vasta distribuzione eurasiatico-temperata presente in tutte le regioni d’Italia salvo che in Sardegna, più spesso coltivata nei giardini e inselvatichita. Cresce in faggete e boschi misti, le forme sfuggite alla coltivazione anche in ambienti urbanizzati. Tutta la pianta e soprattutto i semi sono tossici per il contenuto in glucosidi cardioattivi che liberano acido cianidrico e alcaloidi (aquilegina). Il nome generico, di antico uso, ha etimologia incerta: potrebbe derivare dal latino 'aquilegium' (recipiente per l'acqua) per la forma dei fiori, o da 'aquila' per gli speroni simili al becco dell'aquila; il nome specifico deriva dal latino ‘dumétum’ (cespuglio) e ‘colo’ (abito) e significa quindi ‘che vive fra i cespugli’. Forma biologica: emicriptofita scaposa. Periodo di fioritura: giugno-agosto. Syn.: Aquilegia vulgaris auct. Fl. Ital.
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Carica papaya
La specie più conosciuta della famiglia delle Caricaceae è Carica papaya, nota comunemente come papaya, detta anche “albero dei meloni” per l’aspetto dei suoi frutti. Fu citata per la prima volta nel Cinquecento dal cronista spagnolo De Oviedo al seguito delle spedizioni spagnole nel Nuovo Mondo. Ha l’aspetto di un albero di piccole dimensioni (raggiunge al massimo i 5-8 m di altezza), a fusto singolo non ramificato. Nella parte terminale è inserita una corona di grandi foglie palmate, con il picciolo che può raggiungere il metro di lunghezza. Per favorire la maturazione dei frutti esponendoli direttamente al sole le foglie cadono e lasciano ben visibili lungo il tronco i segni delle cicatrici.
Dal punto di vista riproduttivo è una specie particolare: in genere è dioica, cioè ogni pianta porta solo fiori maschili o solo fiori femminili, ma sono state selezionate anche piante con fiori ermafroditi. Alcune varietà possono presentare, a seconda dell’andamento climatico, fiori maschili oppure femminili, o può succedere che piante maschili o ermafrodite diventino femminili se vengono danneggiate o tagliate alla sommità. I fiori, morfologicamente distinti a seconda del sesso, sono numerosi, profumatissimi e con una corolla a cinque petali giallognoli.
Il frutto è una bacca di forma oblunga, che a maturità assume un colore giallo arancio, con una polpa succosa che contiene al centro piccoli semi neri, ricoperti da un arillo mucillaginoso. Le dimensioni sono variabili e può pesare anche 9 Kg. La papaya continua a produrre nuovi fiori e contemporaneamente si sviluppano i frutti, perciò presenta sempre sia fiori che frutti a vario grado di maturazione.
È una pianta probabilmente originaria dell’America centrale, diffusa e ampiamente coltivata nelle regioni tropicali e subtropicali, principalmente per i frutti, ricchi di calcio, fosforo, ferro, potassio e vitamina A, B e C, di flavonoidi e polifenoli, noti antiossidanti. Oltre che per l’importanza alimentare del frutto, è ampiamente coltivata per il lattice. Ricavato soprattutto dalla buccia e dalla polpa dei frutti immaturi, ma anche da altre parti della pianta, il lattice contiene enzimi proteolitici, quindi è molto utile per migliorare la digestione in particolare la papaina, impiegata nell’industria farmaceutica per la sua azione antiparassitaria intestinale, digestiva e antinfiammatoria.
La papaina viene usata anche nella fabbricazione di birra, perché elimina le proteine che a bassa temperatura precipitano e la intorbidiscono, nell’industria cosmetica e dei detergenti nell'industria alimentare per intenerire le carni in scatola, in quella tessile per il trattamento di lana e seta prima della coloritura.
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Ravenala madagascariensis
Viene detta comunemente palma del viaggiatore, ma non è affatto una palma: è invece una specie erbacea ad alto fusto della famiglia delle Strelitziaceae. La maestosità di questa pianta è legata alla sua morfologia: all’apice del fusto, lungo circa una decina di metri, sono addensate le foglie simili a quelle del banano, disposte rigorosamente in un unico piano, a formare un enorme ventaglio. Il suo nome viene attribuito al fatto che alla base del picciolo, allargata a coppa, si raccoglie l'acqua piovana che scivola lungo il picciolo e che viene usata dai viaggiatori per dissetarsi. In realtà R. madagascariensis è endemica delle foreste pluviali del Madagascar, ambiente nel quale l’acqua abbonda, quindi è probabilmente più verosimile la versione che attribuisce il nome comune di questa pianta al fatto che il ventaglio di foglie è in tutti gli esemplari sempre orientato in una direzione precisa e funziona quindi come una bussola per il viaggiatore. In lingua malgascia il nome del genere significa “foglie della foresta”.
Specie simbolo del Madagascar, la silhouette inconfondibile della chioma di R. madagascariensis compare stilizzata nel logo della compagnia aerea nazionale.
Fra le guaine delle ultime foglie compaiono le infiorescenze, costituite da spighe di numerosi fiori bianchi, protette da grandi brattee distiche. L’impollinazione è ad opera di pipistrelli e lemuri.
I frutti sono capsule in cui i semi sono avvolti in fibre di colore blu intenso che attirano gli uccelli che disseminano la specie.
Le foglie sono utilizzate come materiale per la costruzione delle tradizionali abitazioni, mentre dal fusto si ricava una grasso commestibile
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Matricaria chamomilla
La camomilla, forse originaria dell'Asia sud-orientale e da noi introdotta in epoca pre-romana a seguito dell’espandersi delle colture (archeofita), è una pianta annua oggi divenuta subcosmopolita presente in tutte le regioni d’Italia. Cresce in vegetazioni ruderali o arvensi, spesso come infestante delle colture di cereali, negli orti o lungo le strade, presso le case o nelle discariche, su suoli limoso-argillosi poveri in calcio, da neutri a subacidi, al di sotto della fascia montana superiore. La pianta contiene diversi principi attivi tra cui il camazulene, che ne giustificano l'uso medicinale. Il nome generico, dal latino 'matrix' (utero) allude all'uso contro i dolori mestruali o post-partum, il nome specifico risale invece al greco classico: il termine 'chamaemelon', citato già da Plinio, indicava una pianta bassa ('chamai') con odore di mela, mentre il termine latinizzato 'chamomilla' appare in edizioni di Dioscoride risalenti all'alto Medioevo. Forma biologica: terofita scaposa. Periodo di fioritura: maggio-agosto.
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Ceiba speciosa
Albero della famiglia delle Bombacacae, originario dell’America Meridionale, particolarmente diffuso in Argentina dove viene chiamato anche “albero ubriaco” (palo borracho). Questo epiteto gli deriva dalla caratteristica forma del tronco: è infatti gonfio alla base perché qui i tessuti accumulano acqua che la pianta utilizza durante i periodi secchi, per cui il fusto, rivestito di spine coriacee a forma di cono, assume la forma di una bottiglia. Le foglie, di color verde brillante, sono composte da 5-7 foglioline allungate.
I fiori, che iniziano a comparire verso la fine dell’estate, in concomitanza con la caduta delle foglie, sono particolarmente vistosi, con petali oblunghi con margini ondulati, lembo di colore rosa o fucsia, internamente sfumato in bianco o giallo, con strie e punteggiature porpora scuro e con al centro un lungo tubo staminale.
Il frutto è una capsula oblunga di colore verde-bruno, lunga 10-15 cm, che si apre lungo linee verticali. All’interno contiene semi scuri globosi, avvolti in ammassi di fibre bianche simili a cotone. Questa fibra è chiamata "falso kapok" (il kapok si ricava invece dalla congenere Ceiba pentandra) e viene utilizzata come isolante termico nelle imbottiture.
Il legno bianco, poroso e molto leggero può venire utilizzato in sostituzione del sughero o per la fabbricazione di botti leggere.
Viene apprezzata come pianta ornamentale nelle regioni tropicali e subtropicali dell'emisfero boreale per la vistosa fioritura. Fu introdotta in Italia verso la fine del XIX secolo, all’Orto botanico di Palermo.
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Oreocereus celsianus
Oreocereus celsianus
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Jovibarba globifera
Nel 2008 fu descritta una nuova sottospecie di Jovibarba globifera (L.) Parnell, endemica della Val Lagarina (Veneto e Trentino-Alto Adige), che fu denominata appunto “lagariniana”. Essa si differenzia dal punto di vista morfologico ed ecologico dalle altre sottospecie. E’ una pianta succulenta con una rosetta di foglie basali patenti di colore glauco e non verdi (come le altre sottospecie), con fiori dai petali chiari ghiandolosi e con i sepali rivestiti all’esterno da fitti peli ghiandolari anziché ciglia.
Entità spiccatamente basifila e marcatamente xerofila, predilige le rocce e le scogliere calcaree a quote comprese tra 700 e 1200 m s.l.m., ma in Lessinia scende anche a quote inferiori.
E’ un endemismo del Veneto e del Trentino-Alto Adige localizzato sul Monte Baldo e sui Monti Lessini. Questo territorio fu un’importante area di rifugio per le specie calcicole durante l’ultima glaciazione: il microclima delle scogliere calcaree verticali della Val Lagarina garantì la sopravvivenza di entità spiccatamente xeriche durante le alterne fasi di avanzamento e ritirata dei ghiacciai, dalle quali probabilmente presero origine endemismi con particolari esigenze ecologiche.
Nella Lista Rossa del Veneto è classificata come “NT”, quasi a rischio di estinzione.
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Rhizobotrya alpina
Rhizobotrya alpina
Comunemente chiamata coclearia alpina, dall’antico nome di questa specie che fu raccolta per primo sulle Alpi Feltrine da Beggiato, medico e botanico vicentino. E’ una specie poco vistosa: ha fusti cortissimi e forma cuscinetti emisferici con piccoli fiori bianchi e frutti ovoidali. Fiorisce da luglio ad agosto. Si tratta di una specie rarissima che vive in luoghi rocciosi o in ghiaioni, dove forma popolazioni modeste.
Il livello di rischio di estinzione indicato nella Lista Rossa del Veneto è VU, cioè vulnerabile.
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Olea europaea
L'olivo è l'albero mediterraneo per eccellenza; originario delle regioni mediterranee e dell'Asia minore, è stato utilizzato e diffuso fin dall'antichità per l'estrazione dell'olio e per l'impiego diretto dei frutti nell'alimentazione. In Italia è spontaneo o coltivato in tutta l'area mediterranea, dal livello del mare ai 900 metri circa. L'olivo coltivato ha portamento arboreo, ed è derivato dall'oleastro, la forma spontanea, che si distingue per i rami giovani duri e spinescenti, i frutti più piccoli, le foglie più piccole e ovali ed il portamento arbustivo. Il legno dell'olivo è molto pregiato, durissimo, a grana forte, di colore giallo-bruno, si presta per lavori al tornio e d'incisione. L'olivo è anche una bellissima pianta ornamentale il cui utilizzo come tale si è diffuso negli ultimi anni in gran parte della pianura padana, favorito dalla concomitanza di inverni abbastanza miti. Il nome generico è quello utilizzato dai romani, e deriva dal greco 'elaia'; il nome specifico fa riferimento all'areale tipicamente mediterraneo. Forma biologica: fanerofita cespugliosa/fanerofita scaposa. Periodo di fioritura: aprile-giugno.