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Find out moreThe new restoration project involve the central fountain, the fountains of the quarters, of Theophrastus and of the Four Seasons
Find out moreSpecie botaniche
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Cordyline australis
L'albero-cavolo, come viene chiamato nell’area di origine, è la più alta delle cinque specie di Cordyline native della Nuova Zelanda. La specie è diffusa da Capo Nord alla parte meridionale della South Island, dove diventa sempre meno comune, raggiungendo il limite meridionale a Sandy Point vicino Oreti Beach. In natura si comporta da specie pioniera che necessita di spazi aperti. L'albero era ben noto ai maori prima della sua descrizione scientifica: ogni tribù aveva nomi diversi per l'albero a seconda degli usi locali; il più usato, ‘Ti Kouka’, si riferisce all'uso delle giovani foglie come cibo. I fusti e rizomi carnosi di sono ricchi di zuccheri naturali e venivano cotti al vapore per produrre un alimento ricco di carboidrati utilizzato anche per dolcificare altri alimenti. Il ciuffo apicale di foglie giovani, simile a un cuore di carciofo, è commestibile da cotto. Una fibra dura e resistente alla salsedine viene ottenuta dalle foglie è stato estratto dalle foglie. La specie, introdotta in Gran Bretagna nel 1823, è oggi ampiamente usata a scopo ornamentale nelle parti più calde d’Europa, con diverse cultivar che differiscono soprattutto nella colorazione delle foglie. Il nome generico deriva dal greco ‘kordyle (clava), in riferimento alle parti ipogee ingrossate, quello specifico si riferisce alla provenienza dall’emisfero australe. Forma biologica: fanerofita scaposa. Syn.: Dracaena australis G. Forst.
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Jovibarba globifera
Nel 2008 fu descritta una nuova sottospecie di Jovibarba globifera (L.) Parnell, endemica della Val Lagarina (Veneto e Trentino-Alto Adige), che fu denominata appunto “lagariniana”. Essa si differenzia dal punto di vista morfologico ed ecologico dalle altre sottospecie. E’ una pianta succulenta con una rosetta di foglie basali patenti di colore glauco e non verdi (come le altre sottospecie), con fiori dai petali chiari ghiandolosi e con i sepali rivestiti all’esterno da fitti peli ghiandolari anziché ciglia.
Entità spiccatamente basifila e marcatamente xerofila, predilige le rocce e le scogliere calcaree a quote comprese tra 700 e 1200 m s.l.m., ma in Lessinia scende anche a quote inferiori.
E’ un endemismo del Veneto e del Trentino-Alto Adige localizzato sul Monte Baldo e sui Monti Lessini. Questo territorio fu un’importante area di rifugio per le specie calcicole durante l’ultima glaciazione: il microclima delle scogliere calcaree verticali della Val Lagarina garantì la sopravvivenza di entità spiccatamente xeriche durante le alterne fasi di avanzamento e ritirata dei ghiacciai, dalle quali probabilmente presero origine endemismi con particolari esigenze ecologiche.
Nella Lista Rossa del Veneto è classificata come “NT”, quasi a rischio di estinzione.
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Helianthus tuberosus
Il topinambur è una pianta di origine nordamericana, oggi diffusissima in tutte le regioni d’Italia. Il nome popolare ‘topinambur’ è la trascrizione di una parola brasiliana, ma la pianta sembra sia stata importata in Francia dal Canada nel 1603 dal francese Samuel Champlain; già nel 1616 il naturalista e botanico Fabio Colonna, nella seconda edizione dell’opera Ecpharais, scrive indicandola come ‘Flos solis farnesianus’: era infatti già coltivata nel Giardino Farnese a Roma, dove era conosciuta con il nome volgare di ‘girasole articocco’. Cresce in vegetazioni pioniere e ruderali, soprattutto lungo il corso medio ed inferiore dei fiumi, su suoli da sabbiosi a limoso-argillosi, freschi e sciolti, ricchi in composti azotati, al di sotto della fascia montana. Il tubero, che somiglia per forma e consistenza a una patata e ha un sapore vagamente simile a quello del carciofo, non contiene amido ma il polisaccaride inulina che lo rende adatto nei regimi ipocalorici degli obesi e dei diabetici. In America è stata sin dai tempi più remoti un'importante pianta alimentare, oggi vive un periodo di riscoperta. Il nome generico deriva dal greco 'helios' (sole) ed 'anthos' (fiore), e significa quindi 'fiore del sole' (è lo stesso del girasole), quello specifico si riferisce ai tuberi commestibili (topinambur). Forma biologica: geofita. Periodo di fioritura: agosto-ottobre.
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Linum usatissimum
Il lino coltivato è una pianta annua a distribuzione originariamente europeo-caucasica ma oggi divenuta subcosmopolita, presente in quasi tutte le regioni d’Italia ma in forte regresso a causa dell’abbandono delle colture; fino agli anni Settanta del secolo scorso veniva spesso coltivato, soprattutto nella pianura padana, ma oggi le colture sono quasi del tutto abbandonate. La pianta appare ancora sporadicamente come avventizia in ambienti piuttosto disturbati, al di sotto della fascia montana. Il lino è una specie di uso antichissimo, coltivata soprattutto per le fibre tessili che si ricavano dalla macerazione dei fusti sin dai tempi dei faraoni; i semi sono commestibili e hanno proprietà emollienti, e da essi si ricava un olio utilizzato nell’alimentazione umana e animale. Il nome generico deriva dal greco 'linon' (filo) per la fibra di lino ottenuta dai fusti; il nome specifico si riferisce ai molteplici usi della pianta. Forma biologica: terofita scaposa. Periodo di fioritura: maggio-luglio.
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Morus alba
Il gelso bianco, originario dell'Asia orientale, fu introdotto in Europa nel XII secolo per l'allevamento del baco da seta che lo preferisce al gelso nero (la presenza in Italia è documentata dal 1434). Oggi è presente in quasi tutte le regioni d’Italia. Cresce in filari piantati dall’uomo ai margini degli abitati. I frutti sono commestibili, anche se quasi mai appaiono sul mercato per la difficile conservazione. Il nome generico è quello utilizzato dagli antichi romani per il gelso nero, pianta da loro già conosciuta perché originaria dell'Asia Minore; deriva a sua volta dal greco antico 'meros' (parte), in riferimento all'infruttescenza formata da tanti piccoli frutti con involucro carnoso; il nome specifico deriva dal latino 'albus' (bianco) e si riferisce sempre ai frutti ma questa volta al loro colore prevalente (esistono anche forme a frutti rosa o violetti, che possono generare confusione col gelso nero). Forma biologica: fanerofita scaposa. Periodo di fioritura: aprile-maggio.
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Eugenia uniflora
Viene chiamata anche “Ciliegia di Cayenna”, “Pitanga” o “Ciliegia del Brasile”, in riferimento al suo areale d’origine, questa specie appartiene alla famiglia delle Mirtaceae. E’ una specie arborea di dimensioni modeste, con chioma molto ramificata e folta e foglie opposte, ovali, con margine intero, coriacee e aromatiche, molto decorative perché di colore verde intenso e lucide superiormente.
I fiori sono piccoli, con corolla di 4 petali bianchi caduchi, calice con sepali rivolti all’indietro e persistente e numerosi stami. Il frutto è una bacca tonda e schiacciata ai due poli, con coste longitudinali e contiene un unico seme grosso e rugoso. La maturazione dei frutti è scalare perciò molto decorativa, in quanto sulla stessa pianta sono presenti contemporaneamente frutti maturi di color rosso, arancioni a maturità intermedia e immaturi verdi. La polpa arancione è molto profumata, ricca di vitamina C. Il frutto viene consumato fresco o in confetture, sciroppi, gelati e bibite. In Brasile dalla fermentazione del succo si ricava una bevanda alcolica.
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Phoenix reclinata
La palma da datteri del Senegal è endemica dell'Africa tropicale, del Madagascar e delle Isole Comore, ove cresce dal livello del mare sino alle foreste pluviali montane. Da noi viene a volte coltivata a scopo ornamentale in parchi e giardini di aree a clima mite. I frutti sono commestibili, così come la parte centrale del fusto. Nella provincia di KwaZulu-Natal e nel Delta dell'Okavango, in Botswana, la linfa viene sfruttata poco prima della fioritura per produrre il vino di palma. Le fibre delle giovani foglie non ancora aperte vengono usate per la realizzazione di tappeti, kilt e scope. Le radici, che contengono tannino possono essere utilizzate per produrre un colorante marrone; esse inoltre producono una gomma edule. Il nome generico, già citato da Teofrasto, significa ‘fenicio’ perché sarebbero stati proprio i fenici a far conoscere la palma da dattero ai Greci; il nome specifico allude alle foglie fortemente ripiegate verso il basso. Forma biologica: fanerofita scaposa.
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Matricaria chamomilla
La camomilla, forse originaria dell'Asia sud-orientale e da noi introdotta in epoca pre-romana a seguito dell’espandersi delle colture (archeofita), è una pianta annua oggi divenuta subcosmopolita presente in tutte le regioni d’Italia. Cresce in vegetazioni ruderali o arvensi, spesso come infestante delle colture di cereali, negli orti o lungo le strade, presso le case o nelle discariche, su suoli limoso-argillosi poveri in calcio, da neutri a subacidi, al di sotto della fascia montana superiore. La pianta contiene diversi principi attivi tra cui il camazulene, che ne giustificano l'uso medicinale. Il nome generico, dal latino 'matrix' (utero) allude all'uso contro i dolori mestruali o post-partum, il nome specifico risale invece al greco classico: il termine 'chamaemelon', citato già da Plinio, indicava una pianta bassa ('chamai') con odore di mela, mentre il termine latinizzato 'chamomilla' appare in edizioni di Dioscoride risalenti all'alto Medioevo. Forma biologica: terofita scaposa. Periodo di fioritura: maggio-agosto.
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Prunus persica
Il pesco è un albero deciduo originario della Cina. Fu introdotto in Persia (da cui il nome) e da lì a Roma nel I secolo d.C., diffondendosi in tutto il bacino del Mediterraneo. In Egitto il frutto era sacro ad Arpocrate, il dio del silenzio e dell'infanzia (ancor oggi si paragonano le guance dei bambini alle pesche). In Europa è usato sia come pianta da frutto che come pianta ornamentale. È ampiamente coltivato in tutta Italia, e spesso inselvatichito in arbusteti e cedui di latifoglie, dal livello del mare a 600 metri circa. Il nome generico, già in uso presso i Romani, è di etimologia incerta (deriva comunque dal greco ‘prunon’, che significa ‘prugna’); quello specifico allude al territorio da cui la pianta fu introdotta in Europa, la Persia. Forma biologica: fanerofita cespugliosa/ fanerofita scaposa. Periodo di fioritura: aprile-maggio.
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Sempervivum dolomiticum
Sempervivum dolomiticum
Specie osservabile solo in natura: la pianta presente all’Orto botanico (Sempervivim tectorum) appartiene allo stesso genere.
Simbolo del Parco delle Dolomiti d’Ampezzo, il semprevivo delle Dolomiti vegeta esclusivamente su substrati di dolomia e calcare. Presenta piccole rosette (2-4 cm) di foglie verdi, appuntite, con gli apici arrossati.
Al momento della fioritura, cui seguirà la morte della rosetta, la pianta cambia colore: dal centro della rosetta si allunga uno stelo, portante foglioline e fiori, tutti uniformemente di un rosso acceso. I petali presentano una striatura centrale di colore ancora più marcato. Fiorisce raramente, fra fine luglio e inizio agosto, e solo in questa fase è facilmente distinguibile da altre specie simili.
In Italia questa specie è presente solo in Veneto e Trentino Alto Adige ed è considerata un "relitto glaciale”, perché sopravvisse alle glaciazioni rifugiandosi sulle scarse cime che non furono sepolte dal mare di ghiaccio.
E’ una pianta con proprietà officinali, astringente, anti infiammatoria e rinfrescante. Era usata contro le punture di insetti, le ustioni e come collirio
Nella Lista Rossa del Veneto è a livello di rischio “VU”, cioè vulnerabile.
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Epipactis thesaurensis
Specie osservabile solo in natura: la pianta presente all’Orto botanico (Epipactis palustris) appartiene allo stesso genere.
Il nome della specie deriva dal Monte Tesoro, nel territorio del comune di S. Anna d’Alfaedo, nel settore occidentale dei Monti Lessini. E’ nota unicamente per la Lessinia veronese, con due stazioni nella parte occidentale e una nella parte orientale, scoperta nel 2009. Predilige i boschi di latifoglie, su suolo poco acido, da 650 a 900 m di quota. Alta fino a 40 cm, lungo il fusto presenta foglie molto lunghe, infiorescenza con fiori penduli e poco aperti, con sepali verdi e petali di verdognoli con sfumature rosate, caratterizzati dalla parte apicale del labello, chiamata epichilo, di color violetto. Fiorisce nella stagione estiva, in luglio.
E’ stata descritta recentemente, nel 2007, e la sua distribuzione è ancora in fase di studio, come pure ancora dibattuta è la sua posizione tassonomica.
Nella Lista Rossa del Veneto è classificata come “NT”, quasi a rischio di estinzione.
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Corylus avellana
Il nocciolo è un arbusto deciduo a distribuzione europea con tendenza subatlantico-submediterranea, presente in tutte le regioni d’Italia. Cresce nelle radure e nei mantelli di boschi di latifoglie decidue, su suoli limoso-argillosi profondi, freschi, umiferi, ricchi in basi e composti azotati, dalla fascia submediterranea a quella montana. Le qualità alimentari della nocciola sono note fin dall'antichità: sono un alimento energetico di grande valore e una preziosa fonte di vitamine e minerali. L'industria dolciaria utilizza la farina di nocciole per la produzione di nocciolati, torroni e pasta di gianduia (creata quando Napoleone bloccò l'importazione delle spezie e si verificò una penuria di cacao). L'alta capacità pollonifera ha favorito la coltivazione del nocciolo come pianta ornamentale e da frutto. Il legno, ottimo combustibile, è utilizzato anche per palerie. Il nome generico deriva dal greco 'koris' (elmo), e si riferisce alla forma dell'involucro erbaceo che ricopre la nocciola; il nome specifico deriva da Avella, un centro campano nella provincia di Avellino, noto sin dai tempi dei Romani per la produzione di nocciole. Forma biologica: fanerofita cespugliosa. Periodo di fioritura: marzo-aprile.