
Il primo appuntamento dell'edizione 2023 di Racconti della Natura
con Brunella Torresin ed Elena Canadelli
martedì 21 marzo, ore 18.00

La mostra con le illustrazioni di Guido Scarabottolo e i racconti di Annalisa Metta, Giovanni Morelli e Daniele Zovi visitabile dal 9 marzo
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Un nuovo percorso espositivo con la riapertura del 14 febbraio
Scopri di piùSpecie botaniche
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Ginkgo biloba L.
Il ginkgo è la sola specie vivente del gruppo delle Ginkgophyta e senza dubbio la pianta a semi più antica. Piante molto simili ad essa erano diffuse su tutte le terre emerse nel Giurassico e nel Cretaceo, ma poi andarono progressivamente scomparendo, tranne questo grande albero che Darwin definì "fossile vivente".
Originaria probabilmente della Cina interna, e considerata per molto tempo estinta allo stato spontaneo, sembra essere stata invece ritrovata in formazioni boschive naturali in una piccola zona nei pressi di Nanchino. Il ginkgo è comunque coltivato da sempre nei giardini dei templi e dei luoghi di culto in Cina e soprattutto in Giappone, venerato come "albero sacro" perché si riteneva proteggesse dai cattivi spiriti e perché rappresentava il simbolo della coincidenza tra gli opposti e dell'immutabilità delle cose.
Si tratta di un albero imponente, a lento accrescimento e molto longevo, che può superare i 30 metri di altezza. Molto comune in parchi e giardini e apprezzato per la forma a ventaglio bilobato delle sue foglie che, prima di cadere in autunno, assumono un bel colore dorato, esso dimostra una particolare resistenza alle malattie, agli attacchi di funghi e di organismi fitofagi, come pure all'inquinamento atmosferico. Si tratta di una specie dioica, cioè a sessi separati, con fiori maschili e femminili portati su piante diverse. Nei giardini pubblici e nelle alberature stradali si preferiscono gli individui maschili, poiché i semi prodotti da quelli femminili emanano un odore rancido per la presenza di acido butirrico nell'involucro carnoso esterno, molto sviluppato e responsabile anche di serie dermatiti da contatto. I semi in Oriente sono usati nell'alimentazione, dopo essere stati sottoposti a fermentazione per liberarli dall'involucro esterno.
Il nome del genere "Ginkgo" ha origini giapponesi e significa "albicocca d'argento" (gin=argento; kyo=albicocca) perché i semi a maturazione sembrano appunto albicocche infarinate. Il nome della specie, "biloba", si riferisce alla forma bilobata della foglia. "Ginkgo" è però un nome erroneo, causato da un errore di stampa riportato da Linneo (in Mantissa plantarum, 1767), al posto di "Ginkyo", che rappresenta la pronuncia originale del nome giapponese; questo nome però è ormai fissato dalle regole di nomenclatura.
Secondo la tradizione il maestoso ginkgo situato all'interno della porta Nord nel quarto omonimo venne importato a Padova nel 1750. Si tratta di un esemplare maschile su cui, verso la metà dell'Ottocento, fu innestato a scopo didattico un ramo femminile. Ogni anno questo ramo si ricopre di ovuli, portati generalmente in coppia da brevi peduncoli, che in autunno si trasformano in semi carnosi giallastri. Il vecchio ginkgo ha perso la sua caratteristica forma a cono a causa di un fulmine; la forma tipica si può invece ammirare in un individuo più giovane situato al di fuori del muro, subito dietro alla serra che ospita la palma di Goethe e di fronte alla prima delle serre ottocentesche.
Questa pianta raccoglie da sempre l'interesse di artisti e poeti di tutto il mondo: tra i più illustri Wolfgang Goethe, che le dedicò uno scritto.
Il Ginkgo biloba è attualmente molto studiato in campo medico. Le sue foglie contengono infatti numerosi flavonoidi e ginkgolidi (a struttura terpenica), sostanze utili per la prevenzione e la cura di patologie del microcircolo, soprattutto di natura aterosclerotica e sostenute da aumentata aggregabilità piastrinica. E' inoltre utile nell'insufficienza cerebrovascolare con deficit cognitivo, oltre che nei disturbi auditivi e dell'equilibrio. Le sue numerose attività terapeutiche ne sconsigliano però l'uso per automedicazione: è indispensabile un controllo da parte del medico. Sono ancora da evitare associazioni con farmaci che modificano l'aggregazione piastrinica (per es. l'aspirina), per la possibilità di pericolose interazioni.
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Saponaria officinalis
La saponaria comune è una specie a vasta distribuzione eurasiatico-sudeuropea presente in tutte le regioni d’Italia. Originariamente legata ai greti torrentizi delle pianure si è poi trasferita in ambienti ruderali come margini stradali, discariche, marciapiedi etc., su suoli ghiaioso-sabbiosi più o meno calcarei, da neutri a subacidi, piuttosto ricchi in composti azotati, dal livello del mare alla fascia montana. La pianta contiene saponine, soprattutto nelle radici, ed è tossica se consumata in grandi quantità; un tempo veniva usata per lavare la lana. Il nome generico si riferisce all’alta concentrazione di saponine, il nome specifico deriva dal latino 'officina' (officina, farmacia) in riferimento all’uso a scopo medicinale. Forma biologica: emicriptofita scaposa. Periodo di fioritura: giugno-settembre.
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Prunus dulcis
Il mandorlo è una pianta originaria dell'Europa e dell'Asia occidentale, coltivata in tutto il territorio italiano e talvolta presente allo stato subspontaneo, segnalata come specie avventizia in quasi tutta Italia, dal livello del mare agli 800 metri circa. Le mandorle sono da sempre usate a scopo alimentare e medicinale. Vengono consumate fresche o usate per la preparazione di svariati dolci; le mandorle amare, ottenute da una varietà selezionata, conferiscono ai prodotti di pasticceria un gusto particolare, ma vanno usate con moderazione per la loro ben nota tossicità dovuta a elevate quantità di glicosidi cianogenetici ad azione tossica. L'olio di mandorle ottenuto dalla spremitura di mandorle dolci e soprattutto amare (private delle sostanze tossiche con distillazione) è un cosmetico famoso fin dall'antichità. Il latte di mandorle è un ottimo antinfiammatorio. Il nome generico, già in uso presso i Romani, è di etimologia incerta (deriva comunque dal greco ‘prunon’, che significa ‘prugna’). Forma biologica: fanerofita scaposa. Periodo di fioritura: (gennaio)febbraio-marzo.
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Pistia stratiotes
La lattuga d’acqua è una specie di origine incerta (fu descritta dal Nilo vicino al lago Vittoria in Africa), oggi diffusa o naturalmente o attraverso l'introduzione umana in quasi tutti i corsi d'acqua dolce tropicali e subtropicali, ma presente come avventizia anche in Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna, Campania e probabilmente anche in altre regioni d’Italia. Spesso utilizzata negli acquari, la pianta viene a volte rilasciata nelle acque libere, divenendo una pericolosa infestante. La specie è tra le piante d’acqua dolce più produttive del mondo: in acque con alto contenuto di nutrienti, ma non eccessivamente eutrofizzate, può divenire invasiva coprendo buona parte della superficie disponibile e creando considerevoli problemi nella gestione di canali e bacini idrici. La crescita eccessiva può bloccare gli scambi gassosi all'interfaccia aria-acqua, riducendo l'ossigeno in acqua con conseguente moria di pesci; grandi tappeti possono anche bloccare la luce modificando le comunità vegetali e animali del fondo. La lotta biologica è a volte effettuata attraverso due insetti: il punteruolo sudamericano Neohydronomus affinis e le larve della falena thailandese Spodoptera pectinicornis. Il nome del genere deriva dalla parola greca ‘pistos’ (liquido), in riferimento all’ambiente acquatico; il nome specifico in greco significa ‘soldato’. Forma biologica: idrofita natante.
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Oxalis purpurea
L’acetosela porporina è una specie di origine sudafricana segnalata come avventizia a Catania a partire dal 1965 e in via di espansione come specie avventizia, sinora segnalata anche per diverse regioni dell’Italia centrale e settentrionale. Cresce in vegetazioni ruderali, nelle discariche, ai margini di strade, alla periferia di abitati, su suoli limoso-argillosi piuttosto freschi e ricchi in composti azotati, al di sotto della fascia montana. Il sapore aspro della pianta deriva dall'alto contenuto in acido ossalico; il nome generico deriva infatti dal greco 'oxys' (acido) e 'hal-halis' (sale); il nome specifico si riferisce al colore dei fiori. Forma biologica: geofita bulbosa. Periodo di fioritura: aprile-maggio.
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Avena sativa
L’avena comune deriva da diverse specie selvatiche diffuse come piante infestanti delle colture di grano e orzo nella Mezzaluna Fertile (la regione estesa da Israele all'Iran occidentale), quali A. sterilis, A. fatua e A. byzantina. La coltivazione risale ad almeno 3.000 anni fa, ed oggi si coltivano circa 15 milioni di ettari di avena con una produzione di quasi 26 milioni di tonnellate di granella: l’avena è al 7° posto nella graduatoria dei cereali, ma con una generale tendenza alla diminuzione: in Italia la superficie è scesa da 500.000 ettari nel 1948 a circa 150.000 ettari. La generale regressione dell’avena in Italia e nel mondo è dovuta alla diminuzione degli allevamenti equini, alla minor produttività dell’avena in Unità Foraggere rispetto all’orzo, ai limiti d’impiego dell’avena nei mangimi bilanciati causati dall’alto contenuto di cellulosa della granella (che è abbondantemente vestita). L’avena comune non è nota allo stato selvatico, anche se a volte è presente allo stato subspontaneo in ambienti ruderali sfuggendo alle coltivazioni. L’avena, oltre che cereale la cui granella è la ‘biada’ per eccellenza, viene consumata anche dall’uomo: le cariossidi contengono antiossidanti che impediscono ai cibi grassi di irrancidire; per questa proprietà, l’avena viene generalmente usata come additivo di diversi cibi e nella produzione delle carte in cui si avvolgono gli alimenti. Uno dei principali prodotti industriali è il furfurolo, una sostanza derivata dal tegumento della cariosside, utilizzata come solvente in alcuni processi di raffinazione industriale. Inoltre, l'avena viene impiegata in distilleria per la produzione del whisky. Il nome generico, lo stesso usato dai romani, forse deriva dal sanscrito 'avasa' (nutrimento, foraggio); il nome specifico significa ‘coltivata’. Forma biologica: terofita scaposa. Periodo di fioritura: maggio-giugno.
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Senecio angulatus
Il senecio rampicante, o senecio del Capo, è una pianta originaria del Sudafrica che è stata introdotta in molti paesi come pianta ornamentale e si è spesso naturalizzata (come ad esempio sulle Alpi Marittime), divenendo a volte invasiva. In Italia è più frequente in parchi e giardini della fascia mediterranea, spesso lungo le coste in quanto tollera bene la salinità. La pianta è tossica per la presenza di alcaloidi ad azione lenta ma molto dannosa per il fegato e cancerogena, che possono anche passare al miele ed al latte. Il nome generico deriva dal latino 'senex' (vecchio), alludendo ai pappi biancastri dei frutti o alla pelosità grigia di molte specie; il nome specifico si riferisce ai fusti angolosi. Forma biologica: fanerofita lianosa. Periodo di fioritura: maggio-dicembre.
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Origanum vulgare
L'origano comune è una specie a distribuzione eurasiatico-sudeuropea presente, con tre sottospecie, in tutte le regioni d’Italia; la sottospecie nominale manca nelle estreme regioni meridionali. Cresce in orli di boscaglie termofile di latifoglie decidue e nelle siepi, su scarpate incespugliate, in radure boschive molto aperte, a volte anche in ambienti ruderali, su suoli subaridi, da primitivi e ricchi in scheletro a limoso-argillosi, ricchi in basi ma talvolta subacidi, dal livello del mare a 1.400 metri circa (a volte anche più in alto, soprattutto nelle regioni meridionali). Le foglie essiccate, ricche di olii essenziali, sono notissime come condimento nella cucina mediterranea, in Italia, in Grecia ma anche in Messico (anche se l'origano in vendita come droga essiccata si ricava spesso da diverse piante, tra cui, oltre all’origano vero e proprio, anche specie di Lippia e Thymus); l’aroma è solitamente molto più intenso nelle popolazioni dell’Italia mediterranea, più debole in quelle dell’Italia settentrionale. Le foglie hanno anche diverse proprietà officinali e sono ancor oggi usate nella medicina popolare. Il nome deriva dal greco 'oros' (monte) e 'ganos' (ornamento); il nome specifico deriva dal latino 'vúlgus' (volgo) e significa 'comune, diffuso, frequente'. Forma biologica: emicriptofita scaposa. Periodo di fioritura: giugno-settembre.
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Artemisa vulgaris
L’assenzio selvatico è una specie a vasta distribuzione circumboreale-temperata presente in tutte le regioni d’Italia. È un po' meno termofila e più xerofila di A. verlotiorum e colonizza terreni mesici ricchi in composti azotati, in ambienti fortemente disturbati quali margini di strade, discariche, campi abbandonati etc., dal livello del mare alla fascia montana. Una singola pianta è in grado di produrre sino a 700.000 frutti. La pianta è a volte usata come digestivo, anche se è tossica quando consumata in grandi quantità: come le altre specie congeneri, contiene il tossico thujone. Il nome generico era già in uso presso i greci antichi ma è di etimologia incerta: potrebbe riferirsi ad alla dea Artemide (Diana) o alla regina Artemisia, moglie di Mausolo, re di Caria; il nome specifico deriva dal latino 'vúlgus' (volgo) e significa 'comune, diffuso, frequente'. Forma biologica: emicriptofita scaposa. Periodo di fioritura: luglio-ottobre.
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Philodendron bipinnatifidum
Arbusto sempreverde appartenente alla famiglia delle Araceae, è originario del Sud America e, più specificatamente, delle foreste pluviali brasiliane ma viene ampiamente coltivato lungo le coste americane così come in alcune zone dell’Asia quali le Filippine.
Il fusto, che può superare i tre metri d’altezza, è a rapida crescita e spesso produce lunghe radici aeree vicino alla base, dalle quali è derivato uno dei nomi vernacolari di questa specie (fillodendro àncora). Le foglie sono grandi, arrivano tranquillamente al metro di lunghezza, profondamente incise e simili a quelle di Monstera deliciosa Liebm., specie della stessa famiglia e originaria nell’America centrale. L’infiorescenza, che si sviluppa tardivamente, consiste in un lungo spadice bianco-verde parzialmente avvolto da una spata verde esteriormente e color crema all’interno; sullo spadice sono presenti migliaia di piccoli fiori con i maschili concentrati all’apice, i femminili alla base e una serie di fiori maschili sterili nella parte centrale. Con l’inizio della fioritura si sviluppano, all’interno della spata, temperature piuttosto elevate che, unitamente all’odore, attirano gli impollinatori, principalmente alcuni coleotteri notturni.
La specie contiene delle sostanze tossiche, soprattutto ossalati di calcio, che la rendono dannosa sia per ingestione che per contatto.
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Secale cereale
La segale è una specie di origine centroasiatica, oggi ampiamente coltivata per la produzione di farina. La coltura è ristretta a zone fredde per latitudine o altitudine, grazie alla sua resistenza alle basse temperature che ne consente la semina autunnale anche in climi proibitivi per qualsiasi altro cereale. In Italia è coltivata su poche migliaia di ettari, prevalentemente sulle Alpi, e la coltura tende a diminuire con lo spopolamento delle zone marginali di montagna. Cresce su terreni poveri di calcare e spesso appare allo stato subspontaneo negli alvei fluviali, negli incolti e presso le vie. Il nome generico, di probabile origine esotica, è assonante con il latino ‘sécare’ (segare, falciare). Forma biologica: terofita scaposa. Periodo di fioritura: maggio-luglio.
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Aloe ferox
Pianta dalle foglie carnose della famiglia delle Xanthorrhoeaceae, originaria del Sudafrica.
Può sviluppare un fusto alto fino a 5 metri, che porta all’apice una rosetta di grandi foglie succulente, di colore verde scuro, che lungo il margine presentano spine bruno-rossicce, dalle quali deriva il nome della specie. Permangono sul fusto dopo essersi seccate a formare un manicotto protettivo. In primavera vengono prodotti i fiori di color arancione o rosso, portati in vistose infiorescenze che si allungano partendo dal centro della rosetta di foglie.