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A special ticket to discover eight prestigious cultural sites of the University of Padua
Find out moreSpecie botaniche
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Schinus molle
Il falso pepe del Perù è un albero-arbusto originario delle aree subdesertiche delle Ande, dal Perù al Cile Centrale e all’Argentina nordoccidentale, coltivato a scopo ornamentale nelle parti più calde della regione mediterranea, compresa l’Italia; in Sud Africa e in Australia è divenuto localmente invasivo. Nelle aree di origine alla pianta si attribuiscono proprietà antibatteriche e insetticide; il frutto ha la stessa grandezza del vero pepe e un sapore piccante e viene ancor oggi commercializzato in misture con il vero pepe, anche se sembra essere tossico per gli animali. Il nome generico deriva dal greco ‘schinos’, l’antico nome del lentisco, per la somiglianza di foglie e frutti e la presenza di resine. Forma biologica: fanerofita scaposa.
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Citrus limon
Il limone è probabilmente un ibrido tra l’arancio amaro (Citrus x aurantium) e il cedro (Citrus medica), uno degli agrumi più sensibili al freddo. I limoni furono introdotti in Italia meridionale verso il primo secolo d.C., al tempo dei romani, ma non vennero ampiamente coltivati se non dopo la seconda re-introduzione, dovuta agli arabi, tra il 1000 e il 1150; la prima sostanziale coltivazione di limoni al di fuori dei territori arabi iniziò a Genova verso la metà del XV secolo. Oggi in Italia la coltivazione è limitata alle aree costiere ioniche e tirreniche della Sicilia, Calabria e Campania, in numerose cultivar. Coltivato soprattutto come pianta da frutto, ha rivestito notevole importanza nell'economia locale, non solo per il commercio del frutto, ma anche per l'industria dell'acido citrico. Nel dopoguerra la produzione di citrato per via fermentativa ha soppiantato l'utilizzazione del limone, con grave danno per l'agrumicoltura. Il frutto è particolarmente ricco di vitamine. Il nome generico probabilmente deriva da una lingua pre-indoeuropea, in greco 'citron' e in latino 'citrus', per indicare il cedro, agrume di origine indiana introdotto in Persia e poi in Grecia da Alessandro Magno; il nome specifico deriva probabilmente da un vocabolo di provenienza orientale, arabo o persiano ('limúm'), introdotto in Occidente dagli arabi e dai Crociati insieme alla pianta. Forma biologica: fanerofita scaposa. Periodo di fioritura: tutto l’anno.
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Filipendula ulmaria
L’olmaria comune è una specie a vasta distribuzione eurosiberiana presente in tutte le regioni dell’Italia continentale (dubitativamente in Umbria). Cresce in prati umidi, fossati, ruscelletti, paludi e boschi ripariali, dal livello del mare alla fascia montana. Assieme al salice, è considerata l''aspirina vegetale': l'acido salicilico fu scoperto nel 1839 nei fiori di una Filipendula, a quel tempo inclusa nel genere Spiraea, per cui fu chiamato 'acido spirico'; nel 1859 il chimico tedesco Hoffmann acetilò l'acido salicilico, ottenendo l'acido acetilsalicilico o acido acetilspirico, da cui la Bayer coniò il termine 'aspirina'. Con i fiori si aromatizzano i vini dolci, che assumono sapore di moscato; le foglie tingono in bruno e in nero; dalle gemme si estrae un olio usato in profumeria. Il nome generico deriva dal latino 'filum' (filo) e 'pendulum' (pendulo), per gli ingrossamenti tuberiformi che pendono dalle radici di alcune specie; il nome specifico si riferisce alla somiglianza dei segmenti fogliari con le foglie dell'olmo. Forma biologica: emicriptofita scaposa. Periodo di fioritura: maggio-luglio.
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Platanus orientalis L
Il platano orientale è un albero alto fino a una quarantina di metri, dal tronco grosso e dalla chioma fitta, molto ombrosa, comune in un’area che va dalla regione mediterranea orientale sino ad Est dell'Himalaya. Non pochi studiosi lo ritengono indigeno anche in Sicilia, Calabria e Cilento, dove cresce spontaneamente in formazioni boschive umide lungo i corsi d'acqua.
Il platano orientale è un albero longevo e resistente, a crescita rapida, che preferisce terreni argillosi e umidi. La sua corteccia è liscia e tende a sfogliarsi, mettendo in evidenza la nuova scorza spesso chiarissima. Le grandi foglie, lungamente picciolate, sono molto eleganti e incise fino a oltre la metà del lembo; in autunno, prima di cadere, assumono un caldo giallo sfumato d'ocra. I fiori sono riuniti in infiorescenze pendule sferiche; sferiche sono anche le infruttescenze dotate di lunghi peli, che si disperdono nell'aria quando giunge la primavera.
Largamente coltivato nell'Europa meridionale, non sopporta invece il clima dell'Europa settentrionale, dove non giunge l'influenza moderatrice del mare. In queste regioni infatti è presente la specie Platanus occidentalis L. introdotta dal Nord America.
In Inghilterra, le due specie di platani produssero spontaneamente, attorno al 1670, un ibrido fertile, Platanus hybrida Brot., il platano comune, che può crescere anche in zone molto fredde ed è molto più vigoroso dei progenitori. Esso viene coltivato a scopo ornamentale in tutte le zone temperate della terra, soprattutto nelle piane irrigue, in parchi e lungo le strade. La sua resistenza è stata però, nella seconda metà del 1900, messa alla prova da un'infezione fungina (il cancro colorato del platano) di origine americana, che ha portato alla morte molte piante ultracentenarie.
Il platano orientale dell'Orto botanico è stato messo a dimora nel 1680 nell'arboreto, poco lontano dal cancello d'accesso: attualmente rappresenta la seconda pianta più vecchia. Si tratta di un albero imponente, con la singolare particolarità di possedere un fusto cavo, probabilmente come conseguenza di un fulmine. La pianta continua lo stesso a vegetare, perché normalmente la parte più interna del legno (duramen) non è più funzionante e quindi non più necessaria. Nella parte più esterna si trovano invece i tessuti di conduzione funzionanti, che vengono ritmicamente prodotti ogni anno e che assicurano la sopravvivenza della pianta.
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Juncus effusus
Il giunco comune è una specie a vastissima distribuzione subcosmopolita presente in tutte le regioni d'Italia. Cresce nelle paludi, lungo le sponde di fiumi e laghi, nei prati umidi, dal livello del mare a 1.700 metri circa. Il nome generico, dal latino 'iúngere' (congiungere, legare), allude all'antico uso di intrecciare fusti e foglie dei giunchi per creare diversi oggetti; il nome specifico in latino significa 'sparso intorno, diffuso qua e là'. Forma biologica: emicriptofita cespitosa. Periodo di fioritura: maggio-luglio.
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Aquilegia vulgaris
L'aquilegia comune è una specie a vasta distribuzione eurasiatico-temperata presente in tutte le regioni d’Italia salvo che in Sardegna, più spesso coltivata nei giardini e inselvatichita. Cresce in faggete e boschi misti, le forme sfuggite alla coltivazione anche in ambienti urbanizzati. Tutta la pianta e soprattutto i semi sono tossici per il contenuto in glucosidi cardioattivi che liberano acido cianidrico e alcaloidi (aquilegina). Il nome generico, di antico uso, ha etimologia incerta: potrebbe derivare dal latino 'aquilegium' (recipiente per l'acqua) per la forma dei fiori, o da 'aquila' per gli speroni simili al becco dell'aquila; il nome specifico deriva dal latino ‘dumétum’ (cespuglio) e ‘colo’ (abito) e significa quindi ‘che vive fra i cespugli’. Forma biologica: emicriptofita scaposa. Periodo di fioritura: giugno-agosto. Syn.: Aquilegia vulgaris auct. Fl. Ital.
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Prunus avium
Il ciliegio è un albero deciduo oggi divenuto subcosmopolita per coltivazione in diverse varietà; l'areale originario dovrebbe essere il territorio che va dal Caucaso ai Balcani; secondo alcuni autori che si rifacevano agli scritti di Plinio, l'ingentilimento e la messa a coltura sono iniziati nell'Asia occidentale; tuttavia, i semi sono stati trovati in depositi archeologici presso insediamenti dell'età del bronzo antico in tutta Europa, compresa la Gran Bretagna, oppure presso Desenzano del Garda e Lonato. Allo stato coltivato il ciliegio è comune in tutta Italia sino alla fascia montana inferiore; allo stato subspontaneo è diffuso ma non sempre comune e cresce in boschi mesofili maturi e talvolta nelle siepi, su suoli argillosi piuttosto profondi e abbastanza ricchi in composti azotati, al di sotto della fascia montana. Si coltiva per il frutto fresco o da conservare in alcool, come pianta ornamentale, per la ricca fioritura primaverile e per l'aspetto che acquisisce in autunno con l'ingiallimento delle foglie, oppure per il legname. Il legno è duro, a grana uniforme, dalle tonalità calde, bruno-rossicce, e si presta per la costruzione di mobili di pregio e lavori al tornio. Le foglie contengono una sostanza colorante viola. Il nome generico, già in uso presso i Romani, è di etimologia incerta (deriva comunque dal greco ‘prunon’, che significa ‘prugna’), quello specifico in latino significa 'degli uccelli'. Forma biologica: fanerofita scaposa. Periodo di fioritura: aprile-maggio.
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Phoenix reclinata
La palma da datteri del Senegal è endemica dell'Africa tropicale, del Madagascar e delle Isole Comore, ove cresce dal livello del mare sino alle foreste pluviali montane. Da noi viene a volte coltivata a scopo ornamentale in parchi e giardini di aree a clima mite. I frutti sono commestibili, così come la parte centrale del fusto. Nella provincia di KwaZulu-Natal e nel Delta dell'Okavango, in Botswana, la linfa viene sfruttata poco prima della fioritura per produrre il vino di palma. Le fibre delle giovani foglie non ancora aperte vengono usate per la realizzazione di tappeti, kilt e scope. Le radici, che contengono tannino possono essere utilizzate per produrre un colorante marrone; esse inoltre producono una gomma edule. Il nome generico, già citato da Teofrasto, significa ‘fenicio’ perché sarebbero stati proprio i fenici a far conoscere la palma da dattero ai Greci; il nome specifico allude alle foglie fortemente ripiegate verso il basso. Forma biologica: fanerofita scaposa.
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Sempervivum dolomiticum
Sempervivum dolomiticum
Specie osservabile solo in natura: la pianta presente all’Orto botanico (Sempervivim tectorum) appartiene allo stesso genere.
Simbolo del Parco delle Dolomiti d’Ampezzo, il semprevivo delle Dolomiti vegeta esclusivamente su substrati di dolomia e calcare. Presenta piccole rosette (2-4 cm) di foglie verdi, appuntite, con gli apici arrossati.
Al momento della fioritura, cui seguirà la morte della rosetta, la pianta cambia colore: dal centro della rosetta si allunga uno stelo, portante foglioline e fiori, tutti uniformemente di un rosso acceso. I petali presentano una striatura centrale di colore ancora più marcato. Fiorisce raramente, fra fine luglio e inizio agosto, e solo in questa fase è facilmente distinguibile da altre specie simili.
In Italia questa specie è presente solo in Veneto e Trentino Alto Adige ed è considerata un "relitto glaciale”, perché sopravvisse alle glaciazioni rifugiandosi sulle scarse cime che non furono sepolte dal mare di ghiaccio.
E’ una pianta con proprietà officinali, astringente, anti infiammatoria e rinfrescante. Era usata contro le punture di insetti, le ustioni e come collirio
Nella Lista Rossa del Veneto è a livello di rischio “VU”, cioè vulnerabile.
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Cymbopogon citratus
Questa graminacea perenne è tipica delle regioni tropicali del sud-est asiatico dove i suoi densi ciuffi tondeggianti possono arrivare quasi adue metri di altezza; le foglie, lunghe e sottili, si sviluppano una nella guaina dell’altra così da creare un anello fogliare inspessito alla base e, se stropicciate, liberano un aroma di limone da cui il termine di “lemon grass”. L’infiorescenza, prodotta raramente perché la specie predilige la riproduzione vegetativa tramite stoloni, è una spiga biancastra. Grazie alla presenza di oli aromatici sulle foglie, in Indonesia e nelle Filippine è ampiamente utilizzata in cucina ma anche in profumeria e nella medicina tradizionale come stimolante, analgesico, antipiretico, ecc.
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Jovibarba globifera
Nel 2008 fu descritta una nuova sottospecie di Jovibarba globifera (L.) Parnell, endemica della Val Lagarina (Veneto e Trentino-Alto Adige), che fu denominata appunto “lagariniana”. Essa si differenzia dal punto di vista morfologico ed ecologico dalle altre sottospecie. E’ una pianta succulenta con una rosetta di foglie basali patenti di colore glauco e non verdi (come le altre sottospecie), con fiori dai petali chiari ghiandolosi e con i sepali rivestiti all’esterno da fitti peli ghiandolari anziché ciglia.
Entità spiccatamente basifila e marcatamente xerofila, predilige le rocce e le scogliere calcaree a quote comprese tra 700 e 1200 m s.l.m., ma in Lessinia scende anche a quote inferiori.
E’ un endemismo del Veneto e del Trentino-Alto Adige localizzato sul Monte Baldo e sui Monti Lessini. Questo territorio fu un’importante area di rifugio per le specie calcicole durante l’ultima glaciazione: il microclima delle scogliere calcaree verticali della Val Lagarina garantì la sopravvivenza di entità spiccatamente xeriche durante le alterne fasi di avanzamento e ritirata dei ghiacciai, dalle quali probabilmente presero origine endemismi con particolari esigenze ecologiche.
Nella Lista Rossa del Veneto è classificata come “NT”, quasi a rischio di estinzione.
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Moehringia glaucovirens
Moehringia glaucovirens
La moehringia verde-glauca vive negli anfratti della roccia, nelle rupi calcaree strapiombanti e asciutte, dai 400 ai 2000 m di quota. Appartiene alla famiglia delle Caryophyllaceae, la stessa del garofano, ed ha fusti delicati che formano cuscinetti lassi di circa 15 cm di diametro. Le foglie sono sottili e filiformi, opposte, di colore verde – azzurro. I fiori sono inferiori al mm, con 5 petali candidi.
E’ una specie endemica, con areale molto ridotto, comprendente due settori, uno sulle Dolomiti orientali e uno in Lombardia, dalla Val Trompia nel Bresciano fino al lago di Garda
In Veneto è inserita nelle Liste Rosse regionali con livello di rischio “EN”, cioè in pericolo di estinzione.