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Una tavola rotonda sul delicato equilibrio tra Uomo e Ambiente, organizzata nell'ambito del River Film Festival
martedì 13 giugno, dalle 15.30 alle 19.00
Ingresso libero

La mostra con le illustrazioni di Guido Scarabottolo e i racconti di Annalisa Metta, Giovanni Morelli e Daniele Zovi
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Una nuova area espositiva arricchisce la visita dell'Orto botanico
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Il biglietto speciale dell'Università di Padova per scoprire otto tra i suoi più prestigiosi luoghi della cultura
Scopri di piùSpecie botaniche
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Petroselinum crispum
Il prezzemolo è una specie di origine mediterranea, ampiamente coltivata in tutta Italia e a volte presente come pianta avventizia allo stato subspontaneo nei coltivi e negli incolti. Le foglie sono notissime come condimento; in alcuni paesi dell’Europa orientale è popolare anche una cultivar a radice ingrossata, che viene consumata fresca o cotta; la pianta ha proprietà diuretiche e sudorifere, dovute principalmente ad una sostanza flavonica: l'apioside. Anticamente era utilizzato anche come emmenagogo e abortivo, a causa dell'apiolo, un componente che contrae la muscolatura liscia dell'intestino, vescica e utero; è sconsigliato l'uso di prezzemolo in quantità massicce non controllate, dato che può provocare notevoli intossicazioni. Il nome generico deriva dal greco ‘pétra’ (pietra) e ‘sélinon’ (sedano, prezzemolo), quello specifico allude all’aspetto increspato delle foglie. Forma biologica: emicriptofita scaposa/ emicriptofita bienne. Periodo di fioritura: maggio-settembre.
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Ficus carica
Il fico è una specie originaria dell'area pontica (Turchia settentrionale, costa del Mar Nero), con estensione a tutto il Mediterraneo, da noi di antichissima introduzione precolombiana come altre specie legnose di interesse economico (castagno, bagolaro, noce). È presente in tutte le regioni d’Italia, spontaneo o coltivato, dal livello del mare a 800 metri circa, anche come piccolo arbusto su muri e in stazioni rupestri soleggiate. Il frutto che chiamiamo fico è in realtà un'infiorescenza carnosa e cava (siconio) tappezzata all'interno da piccoli fiori femminili e/o maschili privi di calice e corolla. Quelli femminili, una volta impollinati, si trasformano nei veri frutti, cioè piccoli acheni di aspetto granulare. In natura la disseminazione del fico è strettamente legata al ciclo vitale di un piccolo imenottero, la Blastophaga psenes. Certe piante dette caprifico non producono siconi commestibili per il fatto che questi cadono apparentemente immaturi (rimangono stopposi); in realtà si tratta di individui con funzione maschile, i loro siconi, cioè, contengono sia fiori maschili sia fiori femminili a stilo breve, che per tale motivo non impediscono a Blastophaga di raggiungerli e trasformarli in galle per la deposizione delle uova. Quindi il caprifico è unicamente donatore di quel polline che viene poi trasportato dall'insetto quando va a visitare altri siconi. Nei siconi di altre piante (fichi 'femmina'), l'imenottero trova unicamente fiori femminili, questa volta in maggioranza a stilo lungo, tali cioè da impedirgli di raggiungere gli ovari per pungerli e deporvi le uova e nel contempo tali da costringerlo a urtare gli stigmi lasciandovi attaccati i granuli di polline involontariamente raccolti nelle visite al caprifico. A questo punto si innesca lo sviluppo di frutti normali (acheni con seme all'interno) e la contemporanea trasformazione del siconio in un corpo carnoso e zuccherino (i semi verranno dispersi per via endozoica). La fioritura di inizio primavera garantisce un'impollinazione delle piante 'femminili', mentre le successive fioriture, specialmente la seconda, possono sviluppare sulle stesse fichi in prevalenza partenocarpici, quali si ritrovano in molte cultivar selezionate appunto per essere autosufficienti; in questi siconi 'da tavola' gli acheni sono guscetti vuoti senza seme, ma vi si possono trovare pure fiori a stilo breve trasformati in galle dalla Blastophaga, riconoscibili come pallini più grandi. La disseminazione avviene soprattutto a opera di uccelli e micromammiferi. Il nome generico deriva dalla medesima radice indoeuropea del greco 'sýkos' (fico), quello specifico allude alla Caria, regione della Turchia donde si riteneva provenire la pianta. Forma biologica: fanerofita scaposa. Periodo di fioritura: febbraio-marzo (maturazione: giugno-luglio); maggio-giugno (maturazione: luglio-ottobre); settembre (maturazione: dicembre-aprile).
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Syringa vulgaris
Il lillà, originario dell'Europa sudorientale, fu introdotto in Italia dal XVI secolo a scopo ornamentale e oggi è presente come specie avventizia in tutte le regioni d'Italia salvo che in Valle d'Aosta, Campania, Puglia, Calabria e Sardegna. In Italia è coltivato quasi ovunque al di sotto della fascia montana, e appare sporadicamente anche allo stato subspontaneo; ha tendenza ad inselvatichirsi in siepi e boschetti presso gli abitati, su suoli argillosi abbastanza profondi e ricchi in basi, dal livello del mare a 800 metri circa. Il nome generico in greco significa 'flauto' e potrebbe derivare dall'uso dei rami per produrre flauti; il nome specifico deriva dal latino 'vúlgus' (volgo) e significa 'comune, diffuso, frequente'. Forma biologica: fanerofita cespugliosa. Periodo di fioritura: aprile-maggio.
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Schinus molle
Il falso pepe del Perù è un albero-arbusto originario delle aree subdesertiche delle Ande, dal Perù al Cile Centrale e all’Argentina nordoccidentale, coltivato a scopo ornamentale nelle parti più calde della regione mediterranea, compresa l’Italia; in Sud Africa e in Australia è divenuto localmente invasivo. Nelle aree di origine alla pianta si attribuiscono proprietà antibatteriche e insetticide; il frutto ha la stessa grandezza del vero pepe e un sapore piccante e viene ancor oggi commercializzato in misture con il vero pepe, anche se sembra essere tossico per gli animali. Il nome generico deriva dal greco ‘schinos’, l’antico nome del lentisco, per la somiglianza di foglie e frutti e la presenza di resine. Forma biologica: fanerofita scaposa.
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Platanus orientalis L
Il platano orientale è un albero alto fino a una quarantina di metri, dal tronco grosso e dalla chioma fitta, molto ombrosa, comune in un’area che va dalla regione mediterranea orientale sino ad Est dell'Himalaya. Non pochi studiosi lo ritengono indigeno anche in Sicilia, Calabria e Cilento, dove cresce spontaneamente in formazioni boschive umide lungo i corsi d'acqua.
Il platano orientale è un albero longevo e resistente, a crescita rapida, che preferisce terreni argillosi e umidi. La sua corteccia è liscia e tende a sfogliarsi, mettendo in evidenza la nuova scorza spesso chiarissima. Le grandi foglie, lungamente picciolate, sono molto eleganti e incise fino a oltre la metà del lembo; in autunno, prima di cadere, assumono un caldo giallo sfumato d'ocra. I fiori sono riuniti in infiorescenze pendule sferiche; sferiche sono anche le infruttescenze dotate di lunghi peli, che si disperdono nell'aria quando giunge la primavera.
Largamente coltivato nell'Europa meridionale, non sopporta invece il clima dell'Europa settentrionale, dove non giunge l'influenza moderatrice del mare. In queste regioni infatti è presente la specie Platanus occidentalis L. introdotta dal Nord America.
In Inghilterra, le due specie di platani produssero spontaneamente, attorno al 1670, un ibrido fertile, Platanus hybrida Brot., il platano comune, che può crescere anche in zone molto fredde ed è molto più vigoroso dei progenitori. Esso viene coltivato a scopo ornamentale in tutte le zone temperate della terra, soprattutto nelle piane irrigue, in parchi e lungo le strade. La sua resistenza è stata però, nella seconda metà del 1900, messa alla prova da un'infezione fungina (il cancro colorato del platano) di origine americana, che ha portato alla morte molte piante ultracentenarie.
Il platano orientale dell'Orto botanico è stato messo a dimora nel 1680 nell'arboreto, poco lontano dal cancello d'accesso: attualmente rappresenta la seconda pianta più vecchia. Si tratta di un albero imponente, con la singolare particolarità di possedere un fusto cavo, probabilmente come conseguenza di un fulmine. La pianta continua lo stesso a vegetare, perché normalmente la parte più interna del legno (duramen) non è più funzionante e quindi non più necessaria. Nella parte più esterna si trovano invece i tessuti di conduzione funzionanti, che vengono ritmicamente prodotti ogni anno e che assicurano la sopravvivenza della pianta.
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Cymbopogon citratus
Questa graminacea perenne è tipica delle regioni tropicali del sud-est asiatico dove i suoi densi ciuffi tondeggianti possono arrivare quasi adue metri di altezza; le foglie, lunghe e sottili, si sviluppano una nella guaina dell’altra così da creare un anello fogliare inspessito alla base e, se stropicciate, liberano un aroma di limone da cui il termine di “lemon grass”. L’infiorescenza, prodotta raramente perché la specie predilige la riproduzione vegetativa tramite stoloni, è una spiga biancastra. Grazie alla presenza di oli aromatici sulle foglie, in Indonesia e nelle Filippine è ampiamente utilizzata in cucina ma anche in profumeria e nella medicina tradizionale come stimolante, analgesico, antipiretico, ecc.
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Strelitzia alba
E’ un genere di piante erbacee originario dell’Africa meridionale caratterizzato da fiori molto belli e particolari tanto da meritare il nome di “Uccello del Paradiso”. Introdotta in Inghilterra alla fine del XVIII secolo da Masson, la strelitzia ha fatto il suo ingresso in Italia (Giardino Hambury in Liguria) solo nel 1912.
La strelitzia alba, la più rara delle tre specie arborescenti del gen. Strelitzia, presenta foglie lungamente picciolate che possono misurare 2m di lunghezza per quasi 50cm di larghezza e fiori bianchi racchiusi da una spata verde con sfumature porpora. Il frutto è una capsula triloculare contenete dei semi tondeggianti neri provvisti di un arillo piumoso arancione.
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Sempervivum dolomiticum
Sempervivum dolomiticum
Specie osservabile solo in natura: la pianta presente all’Orto botanico (Sempervivim tectorum) appartiene allo stesso genere.
Simbolo del Parco delle Dolomiti d’Ampezzo, il semprevivo delle Dolomiti vegeta esclusivamente su substrati di dolomia e calcare. Presenta piccole rosette (2-4 cm) di foglie verdi, appuntite, con gli apici arrossati.
Al momento della fioritura, cui seguirà la morte della rosetta, la pianta cambia colore: dal centro della rosetta si allunga uno stelo, portante foglioline e fiori, tutti uniformemente di un rosso acceso. I petali presentano una striatura centrale di colore ancora più marcato. Fiorisce raramente, fra fine luglio e inizio agosto, e solo in questa fase è facilmente distinguibile da altre specie simili.
In Italia questa specie è presente solo in Veneto e Trentino Alto Adige ed è considerata un "relitto glaciale”, perché sopravvisse alle glaciazioni rifugiandosi sulle scarse cime che non furono sepolte dal mare di ghiaccio.
E’ una pianta con proprietà officinali, astringente, anti infiammatoria e rinfrescante. Era usata contro le punture di insetti, le ustioni e come collirio
Nella Lista Rossa del Veneto è a livello di rischio “VU”, cioè vulnerabile.
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Ruta graveolens
La ruta comune è una specie dell'Europa sudorientale, presente come pianta spontanea o avventizia in tutte le regioni dell'Italia continentale salvo che in Valle d’Aosta. Cresce in prati aridi, macereti ed orli boschivi, in siti caldi e assolati, su suoli di solito calcarei, poco profondi e ricchi in scheletro, aridi d'estate, con optimum al di sotto della fascia montana. La ruta è tossica per il contenuto in furocumarine e rutarine e per gli alcaloidi chinolonici presenti nell’olio essenziale dall’odore sgradevole; assunta a dosi eccessive provoca gravi disturbi, con esiti anche letali. Gli olii essenziali possono provocare reazioni fotoallergiche. Le foglie, con presunte proprietà digestive, sono spesso utilizzate per aromatizzare la grappa. Il nome generico deriva dal greco 'ryté' e questo da 'rýomai' (io curo, io preservo) in riferimento alle proprietà medicinali della pianta; il nome specifico, dal latino ‘gravis’ (pesante, forte) e ‘olens’ (odoroso) si riferisce all’intenso e caratteristico odore della pianta. Forma biologica: camefita suffruticosa. Periodo di fioritura: maggio-luglio.
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Aquilegia vulgaris
L'aquilegia comune è una specie a vasta distribuzione eurasiatico-temperata presente in tutte le regioni d’Italia salvo che in Sardegna, più spesso coltivata nei giardini e inselvatichita. Cresce in faggete e boschi misti, le forme sfuggite alla coltivazione anche in ambienti urbanizzati. Tutta la pianta e soprattutto i semi sono tossici per il contenuto in glucosidi cardioattivi che liberano acido cianidrico e alcaloidi (aquilegina). Il nome generico, di antico uso, ha etimologia incerta: potrebbe derivare dal latino 'aquilegium' (recipiente per l'acqua) per la forma dei fiori, o da 'aquila' per gli speroni simili al becco dell'aquila; il nome specifico deriva dal latino ‘dumétum’ (cespuglio) e ‘colo’ (abito) e significa quindi ‘che vive fra i cespugli’. Forma biologica: emicriptofita scaposa. Periodo di fioritura: giugno-agosto. Syn.: Aquilegia vulgaris auct. Fl. Ital.
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Delphinium fissum
Delphinium fissum
La speronella lacerata è una specie delle montagne dell'Eurasia presente in tutte le regioni dell’Italia continentale salvo che in Liguria, Valle d’Aosta, Lombardia e Trentino-Alto Adige. Cresce in prati aridi e boschi cedui molto aperti, su substrati calcarei, con optimum nella fascia montana inferiore. Tutte le parti della pianta sono tossiche se ingerite per la presenza di alcaloidi. Il nome generico deriva dal greco ‘delphís’ (delfino), per la forma del fiore vagamente simile a quella di un delfino; il nome specifico in latino significa ‘profondamente diviso’ in riferimento alla forma delle foglie. Forma biologica: emicriptofita scaposa. Periodo di fioritura: giugno-agosto.
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Moehringia glaucovirens
Moehringia glaucovirens
La moehringia verde-glauca vive negli anfratti della roccia, nelle rupi calcaree strapiombanti e asciutte, dai 400 ai 2000 m di quota. Appartiene alla famiglia delle Caryophyllaceae, la stessa del garofano, ed ha fusti delicati che formano cuscinetti lassi di circa 15 cm di diametro. Le foglie sono sottili e filiformi, opposte, di colore verde – azzurro. I fiori sono inferiori al mm, con 5 petali candidi.
E’ una specie endemica, con areale molto ridotto, comprendente due settori, uno sulle Dolomiti orientali e uno in Lombardia, dalla Val Trompia nel Bresciano fino al lago di Garda
In Veneto è inserita nelle Liste Rosse regionali con livello di rischio “EN”, cioè in pericolo di estinzione.